Artroplastica dell’anca in esiti di anchilosi e artrodesi

J. Girard, P. Martinot, S. Putman, H. Migaud

L’anchilosi dell’anca definita come una perdita totale della mobilità articolare può essere di origine chirurgica,
infettiva, o spontanea. La problematica di un’artrodesi risiede nello scompenso ineluttabile a lungo termine delle
articolazioni sopra - e sottostanti (ginocchio e rachide lombare) che portano frequentemente a una chirurgia di disartrodesi-
protesi. La posizione ideale di un’artrodesi è da 20 a 30° flessione/5° adduzione/ da 5 a 10° rotazione esterna,
consentendo così alle articolazioni adiacenti di non essere troppo sollecitate. Dopo l’artrodesi, la distanza percorsa a
piedi è eccellente, le attività professionali possono essere continuate anche se la posizione seduta rimane complicata. Per
contro, alcune attività quotidiane come allacciarsi le scarpe o andare in bicicletta sembrano molto limitate, se non impossibili.
La chirurgia di disartrodesi-protesi è complessa. Il bilancio pre-operatorio è fondamentale e si basa su una valutazione
ossea (radiografica, tomografia computerizzata [TC], EOS), muscolare (clinica e risonanza magnetica [RMN],
neurologica (elettromiografia [EMG]) e la quantificazione di un’eventuale disparità di lunghezza (il sistema EOS valuta
le relazioni anca-rachide-bacino). Per il bilancio infettivo, una puntura sull’anca è difficile da un punto di vista tecnico e
una biopsia è spesso l’esame a cui si fa ricorso. Lo svolgimento dell’intervento dipende dal planning preoperatorio, ma
anche dall’anamnesi chirurgica. Le vie di accesso variano a seconda delle abitudini (anteriore, posteriore o antero-laterale),
con a volte un’osteotomia trocanterica per facilitare l’esposizione e prediligere il rispetto dei muscoli indispensabile
per il successo dell’intervento. Indipendentemente dall’accesso, alcuni reperi devono essere perfettamente compresi (il
legamento trasverso, la lamina quadrilatera, il piccolo trocantere, il collo del femore). Il paziente deve essere avvertito che
i risultati clinici risultano meno buoni rispetto a un’artroplastica primaria e che il rischio di complicanze è elevato.

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